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LUDWIG Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 marzo 1981
 
di Luchino Visconti, con Helmut Berger, Romy Schneider, Trevor Howard, Silvana Mangano (Italia, 1973)
 
"La cosa che mi ha sempre stupito e affascinato di Luchino era la sua straordinaria capacità di prendere dalla vita soltanto ciò che gli piaceva e rifiutare tutto il resto. Si lasciava fiduciosamente guidare dall'istinto e di questo suo lasciarsi andare aveva fatto un metodo di vita e di lavoro. Un metodo ferreo anche nel disordine. L'incertezza non era una caratteristica della sua mente. Se gli accadeva di esserne visitato, la cacciava via con fastidio. Si faceva delle cose e degli uomini una sua idea precisa ed era quasi impossibile distogliervelo E così anche i suoi errori erano profondamente sinceri e si trasformavano in verità. La forza dei suoi film, la virilità del suo piglio narrativo io credo che vengano da là. Quando la malattia aprì delle falle in questa sua natura svelandone la fragilità di fondo, la vita non lo divertì più e praticamente Luchino si guardò morire..." Queste parole confidate in una intervista a Lietta Tornabuoni da un regista dal mondo poetico così dissimile da quello di Visconti, Michelangelo Antonioni, sembrano fatte apposta per spiegare il fascino e anche i limiti di LUDWIGil suo terz'ultimo film, girato nel 1973. L'edizione che circola da alcuni mesi nelle sale è il frutto della fatica, ma soprattutto dell'amore per il maestro, di Suso Cecchi d'Amico e di qualche altro amico e collaboratore del regista italiano. Salvato il negativo originale del film, con l'aiuto finanziario della RAI si è ricostruita l'edizione completa, monumentale (più di quattro ore) dell'opera così come la voleva Visconti, restituita nel suo montaggio originale e completa delle scene che erano state sacrificate allora.

Il risultato di questa bellissima operazione filologica, paradossalmente, più che chiarire le idee, ha risollevato le antiche polemiche Da un lato, infatti, il rifacimento del montaggio ha ordinato quello che era uno dei lati più discutibili del film, quella costruzione fatta tutta di ritorni nel tempo, con gli interventi dei vari personaggi che commentano la vita del re di Baviera, che aveva infastidito a suo tempo, e fatto discutere. Ma da un altro, chi allora aveva trovato LUDWIG monumentale e macchinoso, statico e dispersivo, di fronte a questa edizione che completa con minuzia ogni situazione, ogni sequenza, rinfaccia al film esattamente le stesse cose. Chi trovava barocca fino al ridicolo la scena del lago sotterraneo nella grotta, ora che la vede doppiata, in una seconda visita della principessa Romy Schneider che in effetti sembra a momenti ripetitiva, conferma a puntino le proprie impressioni di allora. La verità è che il film affascina coloro che hanno amato Visconti. E irrita gli altri, prestando il fianco ad obiezioni alle quali non è fatto per resistere.

Misura o discrezione sono cose assurde da chiedere a LUDWIG, e così un rigore nella costruzione, che infatti non esiste.Torniamo alle frasi di Antonioni: il discorso di Visconti, soprattutto dell'ultimo Visconti, non nasceva da un metodo, ma dall'istinto e dal disordine. E nessun film di Visconti, forse nemmeno MORTE A VENEZIA illustra in modo altrettanto sconvolgente quello che Antonioni definisce un modo di guardarsi morire. Dalla luce folgorante delle prime sequenze, al buio sepolcrale, al marciume della bocca malata che invade il film, il film è una corsa verso l'autodistruzione. Il decadentismo barocco, che molti continuano a rimproverargli non è altro che uno dei tanti segni della sconfitta, lucidamente consapevole, del protagonista. Cinema aristocratico, sicuramente, di un aristocratico su un aristocratico: ma non per disdegno di appartenere alla storia di tutti. Per il dramma, piuttosto, di essere esclusi dalla storia. E di assistere impotenti al compiersi del proprio destino. La logica storica, come sempre nel cinema di Visconti, è più forte dei sussulti di ribellione dell'individuo. Ma la sua sofferenza non è mai inutile. Essa contiene i germi di un mondo nuovo in formazione, gli ideali di una nuova condizione storica e sociale. E tutto ciò, ben oltre la propria condizione ed il giudizio portato dai contemporanei, arricchisce e conforta il protagonista nel trovare un significato alla propria solitudine.

Visto in questa prospettiva è facile trasformare i difetti in elementi significativi, che conducono ad un discorso ben preciso. Preso alla lettera LUDWIG è sicuramente un film monumentale, con una concezione tutta sua della storia, e delle sequenze orchestrate con sapienza infinita alternate con altre puramente illustrative. Ma per chi ama Visconti come non riconoscere, oltre all'evidente stato di grazia degli interpreti (primo fra tutti Helmut Berger che vive letteralmente la follia lucida del re di Baviera), all'arte nell'orchestrazione delle scene di massa (L'incoronazione) o alla scelta inimitabile degli sfondi, la logica coerente di un mondo espressivo che dell'aristocrazia o del decadentismo o del barocco, o del letterario ha fatto un uso direttamente legato ad una riflessione sul destino dell'uomo


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